Lorenzo Riva

Lorenzo Riva: «Quando Balenciaga lo disegnavo io…» da Vanityfair

Il brand più desiderato dai giovani e Chiara Ferragni, i colleghi Valentino e Armani, il bullismo e Giorgia Meloni: intervista a un sarto sempre «acceso», che continua imperterrito a coltivare la sua idea di bellezza. Nonostante tutto
Photo courtesy press office.
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«Mi piace da morire, da morire rilasciare interviste. Specialmente se a testate come la sua, che per me è al top. Ma non pensi che sia una sviolinata…».

In certe giornate, vorrei avere anche solo la metà della metà dell’entusiasmo di Lorenzo Riva, che arriva tumultuoso anche attraverso la linea disturbata del telefono. Monzese doc, classe 1938, Riva è uno degli storici nomi dell’Alta Moda italiana. Un mondo di eleganza, classicità, signorilità (parole sue). Un mondo che per molti versi sembra non esistere più.

Intervistarlo è come salire sulla macchina del tempo e puntare il navigatore in direzione «cinquant’anni fa». Perché Lorenzo Riva è attento, curioso del presente, informato. Vivace. Ma orgogliosamente ancorato al passato di un piccolo mondo antico, a un’idea di moda che, nel mondo moderno, velocissimo, non ha forse più il suo spazio.

«Dopo avere lasciato la mia ditta, qualche anno fa, ho avuto un periodo di riposo e di calma. E invece adesso mi succede più di prima di ricevere riconoscimenti ovunque. Sono in uno stato di grazia: sono appena tornato da Getaria, la città della Spagna basca dove è nato Balenciaga. Sono stato direttore artistico della griffe, sa? Là hanno riconosciuto il mio valore artistico: nel museo di Balenciaga ho scoperto con meraviglia che ci sono tre miei abiti in esposizione.

Una bella soddisfazione.
«Enorme. Me ne sono andato quando Balenciaga è stata venduta, e io non ero molto dell’idea. Ho lasciato tutto e sono tornato in Italia…».

Dopo la sua prima sfilata, a soli 18 anni, Riva apre il suo primo atelier nel 1956. Negli anni Settanta si trasferisce a Parigi dove collabora con molte maison. A metà del decennio diventa direttore artistico della maison Balenciaga, per tornare nei primi anni ’80 a Milano e continuare la sua carriera, occupandosi anche di abiti da sposa – il suo fiore all’occhiello – e di ready to wear.

Ma ci arriveremo a Balenciaga. Come preferisce definirsi? Sarto, couturier, stilista, direttore creativo… designer?
«Io sono un sarto italiano. A un certo punto, per necessità della mia azienda, oltre all’Alta Moda ho fatto anche il pret-à-porter, sfilando a Milano. L’ho fatto volentieri, ci mancherebbe. Ma io vengo dall’Alta Moda pura. Un altro mondo. Direi che dopo la scomparsa di Renato Balestra, come couturier in Italia sono rimasto solo io. Sì, ci sono Versace, Armani che fanno la couture… ma vengono tutti dal pret-à-porter, al contrario mio. Li trovo tutti stupendi, creativi, meravigliosi. Ho un grande rispetto nei loro confronti. Ma io sono tutta un’altra cosa, un altro mondo».

Un sarto.
«Dior diceva: “Balenciaga è stato un grande sarto”. E Gabrielle Chanel rispondeva: “Lui è stato un vero couturier, gli altri disegnatori”. Voilà. Questa frase mi ha convinto a credere ancora di più in me stesso».

Ricorda il suo primo abito, il suo primo disegno?
«Come no: avevo 11 anni e lo feci per mia sorella maggiore, in collaborazione con la mia mamma che, essendo stata una mannequin a Torino da Le Merveilleuse, a un certo punto si mise a fare la sarta per lei e per qualche amica. Aveva un gusto spettacolare, mi ha lasciato una grande eredità».

Foto courtesy press office.

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Insomma, la moda ce la si ha nel sangue.
«Assolutamente. Ho finito le scuole d’obbligo, e poi ho voluto fare il tentativo di frequentare una scuola di moda. Ero l’unico maschio in mezzo a dieci ragazze, nella classe. Ho fatto solo tre mesi, e il direttore mi ha detto: “La licenzio volentieri perché abbiamo solo noi da imparare da lei”. Sa chi era il direttore? Il professor Giulio Marangoni, della grande scuola di moda Marangoni».

Cosa voleva dire, allora, essere l’unico ragazzo in mezzo a così tante ragazze?
«Ecco, le apro il mio cuore. Abitavo in un piccolo borgo, che è Monza. Oggi i miei concittadini dicono che dopo la regina Teodolinda ci sono io, sono carini. Ma allora era difficile. Ho aperto lì il mio primo atelier: la gente del paese ha sempre avuto da che ridire su di me, mi ritenevano ambiguo. E io mi vestivo apposta esageratamente elegante, sempre. Ho vissuto sofferenze grandissime, che io però ho sempre cercato di schiacciare mettendo in alto, sempre, su nel cielo, l’Alta Moda. Con la puzza sotto il naso sono andato sempre avanti, ignorando tutti quanti. . ».

Era anticonformista, nel restare fedele a se stesso in quella piccola città di provincia?
«Ricordo di essermi messo un bellissimo maglione rosa che mi ero fatto fare. Alle quattro lo indossavo, alle sei le mie sorelle lo tingevano di verde. È stato uno scandalo. Capisce?».

Ricorda altri episodi?
«Avevo un abito grigio molto bello, per la primavera. In una piccola boutique comprai una parure di cravatta e calzini rossi, rossissimi. Religiosamente, andavo sempre a messa nel Duomo, a mezzogiorno. Sono stato redarguito dall’arciprete di allora: se viene con queste mise così eccentriche – mi disse – è meglio che non venga. Questa è una delle tante offese che ho subito. Non potevo indossare neppure un piccolissimo braccialetto d’oro che mi regalò mio padre per il mio diciottesimo compleanno. Ho dovuto toglierlo, non so nemmeno come abbiano fatto a vederlo. Era inopportuno. Ma i brutti ricordi sono tanti: all’uscita dal cinema, alle 11 di sera, nevischiava… mi bastò un montgomery con il cappuccio tirato su per essere preso di mira ed essere bullizzato – come si dice adesso – in piazza».

Nel 2011. Foto Ipa.

Ne soffriva?
«No, ho sempre avuto il complesso di superiorità. È stato quello ad aiutarmi a camminare e ad andare sempre avanti. Per me era tutta povera gente. Le prime signore venivano in atelier intimidite, mi dicevano: “Ma io mio marito si chiede come mai veniamo da lei, uomo, a metterci in sottoveste…”. La mentalità era quella…».

I tempi sono molto cambiati.
«Non c’è un presentatore televisivo oggi che non faccia coming out. E allora?».

I tempi sono migliori, oggi?
«Migliori no, non lo direi. Io ho accettato la mia natura. La mia psicologa mi diceva: “Sai che tra 10 maschi tu sei quello autentico?”. Le basta questo?».

Se dovesse indicare il punto più alto di tutta la sua carriera, quale le viene subito in mente?
«Quando ho costituito la società con il mio socio Luigi Valietti. Dopo 40 anni siamo ancora amici. Mi ha aiutato davvero a crescere nella mia carriera, ad arrivare al livello del signor Garavani detto Valentino, del signor Balestra, del signor Sarli… Vede, i miei colleghi erano questi qui, ma non ci sono più. A parte Valentino, che però ha voluto vendere. E ha distrutto la griffe. Anche Balenciaga: per me esiste solo Cristobal Balenciaga, e non la Balenciaga di oggi, con lo stilista georgiano (Demna, ndr), che non c’entra niente».

So che è sempre molto attento a quel che capita nel mondo della moda. Saprà che Balenciaga, prima dello scandalo che l’ha travolto, era il marchio più desiderato in assoluto tra i giovanissimi…
«Io ho pianto quando ho visto vendere una scarpa rotta con i buchi griffata Balenciaga. O quando hanno sfilato nel fango. Ma questa è moda, secondo lei?».

Secondo lei?
«Ma assolutamente no, è una vergogna. Io soffro nel vedere infangato il nome del signor Balenciaga».

E secondo lei perché i giovani ne sono affascinati, invece?
«Ma non sono affascinati: sono robette che uno copia all’altro. Non dovrei dirlo, forse mi rovino, ma non mi importa niente. Io soffro molto nel vedere come la gente va in giro vestita, oggi. Fortunatamente devo dire che c’è una piccola cerchia di clienti molto chic che tornano a farsi fare gli abiti da me. Ma non posso fare i nomi».

Alla prima della Scala nel 2013. Foto Getty.

Alla prima della Scala nel 2013. Foto Getty.

Vittorio Zunino Celotto/Getty Images

Chi è secondo lei la donna più elegante, oggi?
«Non ce n’è. Nemmeno una. Anche i bei nomi di alto livello negli ultimi anni le ho viste vestire tailleur folcloristici di Versace piuttosto che di Dolce&Gabbana. Con un rispetto davvero grande nei loro confronti, non mi fraintenda. Ma il mio mondo è davvero molto diverso».

E il momento più basso della sua carriera, quello più infelice, invece, quale è stato?
«Tutte le carriere hanno alti e bassi. La mia è partita dal suo punto più triste e basso. Per gli altri, però. Non per me. Io ho sempre vissuto per me stesso. Ricordo che ascoltavo alla radio le dirette della prima alla Scala, quando descrivevano le toilette delle personalità presenti. Mi dicevo: un giorno anche tu le vestirai. E infatti… Ecco, una donna che mi piace molto è Gabriella Magnoni Dompé, un’affezionata del teatro».

Secondo lei, la grande moda italiana del suo tempo è ricordata e omaggiata nel modo giusto?
«Per nulla. Sa perché? Perché Versace ha cambiato tutto, ha costruito una moda eccentrica ma non chic, distruggendo il passato. Poi ha pure inventato le top model…».

Non le piacevano?
«Salvo solo Carla Bruni, l’ho vista a Sanremo. Ho curiosato un po’ per vedere le toilette. La presentatrice – lei sa di chi parlo, non faccio nomi – vestiva creazioni Schiaparelli…».

Le è piaciuta?
«La mia pronipote è molto più bella. Ma tanto di cappello, si è inventata una macchina per fare quattrini. Niente da dire».

Ogni stilista importante ha una sua firma, un suo tratto inconfondibile. Il suo qual è? Tra cento anni, noi ricorderemo Lorenzo Riva come il sarto che…
«Più che le passerelle, i miei defilé sono stati i matrimoni. Ecco, io penso che resterò nella memoria come il sarto degli abiti da sposa più belli. Chissà quante donne si sono sposate con un mio abito in questi 60 anni…».

 

E chissà quante si saranno separate, piuttosto.
«Tante, sicuramente. Ne ho appena incontrata una che è al quarto matrimonio. Tengono viva l’economia».

Della moda degli ultimi anni non c’è proprio nessuno che le piaccia, nel quale intravveda un talento?
«Sinceramente? Io non ne vedo di donne eleganti in giro».

Dopo 65 e più anni nella moda, ancora non si annoia?
«No, mi annoio se mi guardo intorno nel constatare quanto sono malvestite le persone. Gli uomini un po’ meglio, oggi come oggi. Le donne sono sbagliate, per lo più».

Ha ancora progetti per il futuro?
«Io e il mio socio abbiamo girato un film diretto da una regista che si chiama Ilaria Gambarelli. Si intitola Io sono il sole. Ma niente di autocelebrativo: è la storia di due signori anziani che non vogliono cedere, e continuare a vivere la loro vita».

Una domanda secca: chi è stato lo stilista più grande dello scorso secolo?
«Balenciaga, senza dubbio».

E il più grande vivente?
«Io».

Due maestri della moda italiana della sua generazione: Valentino Garavani e Giorgio Armani. Chi è il più grande dei due?
«Per me Valentino, perché mi sento molto affine al suo gusto e al suo stile. Ma devo dire che Armani è stato davvero rivoluzionario nella storia della moda, in questo senso secondo solo a Coco Chanel. La sua unica pecca è voler fare la collezione Privé, di Alta Moda. Vedo che il suo ufficio stile si ispira molto a me, Valentino and company… Armani non è un disegnatore, forse nemmeno un creatore. Ma è un business man gigantesco. Come la Chiara Ferragni di cui sopra. Ci siamo intesi?».

Ha vestito anche molte principesse e nobili. Come si spiega l’interesse che suscitano ancora oggi i membri della royal family britannica?
«Glielo dico subito: io sono per Meghan Markle. Mi piace moltissimo, la adoro».

Siamo in due contro tutti.
«Non è la ballerina Kate, che vuole fare il verso alla principessa Diana. Ma poi vogliamo parlare dei mariti: vuole mettere Harry, rosso, bello… ce le ha tutte!».

Elly Schlein, segretaria del Pd, ha destato scalpore per un’intervista nella quale ha svelato di fare ricorso alle consulenze di un’esperta di immagine…
«Ma per forza, cosa vuole che faccia?».

Fa bene, dunque?
«Non aveva alternative. Giorgia Meloni invece mi piace, coi suoi tailleurini Armani. Ma i capelli sono un po’ troppo lunghi per la sua statura. Eppure mi piace moltissimo, lo grido ai quattro venti. Ma la più elegante è la figlia del nostro Presidente Mattarella, Donna Laura. La vedo alla Scala: una vera signora. Lei e il padre sono la coppia più bella del mondo».

Milano è nel suo cuore: è la capitale della moda?
«Mai stata. Se caso è la capitale della lirica. Parigi è la vera capitale della moda».

Ha 85 anni, possiamo scriverlo?
«Ma certo: il mio chirurgo non mi taglia, ma mi fa il botox. Per cui sono sempre molto fresco».

Anche di testa. Come si arriva a quest’età così lucidi?
«Ci si arriva amando il prossimo».

Basta quello?
«Amare molto ti tiene vivo. E non sto parlando di corpo, sto parlando della testa. E io sono sempre innamorato».

Chi è la persona che ha amato di più nella vita?
«Il mio socio. Che a un certo punto non mi ha voluto più come compagno. Ma è ancora la mia vita. Io senza di lui non vivo. Anche se gli sto rovinando l’esistenza, perché io da quando ho 80 anni dico e penso tutto quello che voglio. E lui è stufo di farmi da badante…».

Oggi, nella sua vita, che posto ha la nostalgia?
«Non ce l’ho. Se ce l’avessi, invecchierei… Vede, io vivo nel presente. Io a parlare pcn lei mi sento vivo, presente. Acceso».

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